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Vittime innocenti di camorra: i nomi e le storie dei martiri d'Irpinia

un dolore, quello per le vittime innocenti, che ha toccato nel corso degli anni l'intera Italia, anche l'Irpinia

Sono quasi mille le vittime innocenti di mafia le cui storie vengono ricordate e custodite dall’associazione Libera, radicata ormai su tutto il territorio nazionale. Ogni anno, il 21 marzo, nella Giornata della Memoria e dell'Impegno, i nomi delle vittime vengono ricordati in tutta Italia: una pratica che va oltre la semplice commemorazione e diventa impegno quotidiano per costruire una società sempre più in lotta contro questa “cultura di morte” promossa dalla malavita organizzata.

Un dolore, quello delle morti innocenti, che potremmo definire “democratico”, che ha toccato un po’ tutti i ceti sociali e un po’ tutte le zone d’Italia, da Nord a Sud. Anche l’Irpinia ha le sue vittime innocenti: uccise mentre facevano il loro dovere, perché vicine ad individui poco raccomandabili o solo perché avevano la sfortuna di somigliare vagamente agli obiettivi dei killer.

Il primo nome che rimbomba nella memoria degli irpini è quello di Antonio Ammaturo, nato a Contrada nel 1925 e ucciso sotto casa sua a Napoli dalle Brigate Rosse. Quel maledetto 15 luglio del 1982, insieme al primo dirigente della Squadra Mobile di Napoli, venne assassinato anche l’agente Pasquale Paola. Ammaturo era il “terrore” dei clan. Tante, infatti, sono state le operazioni da lui condotte e portate a termine con successo. Basti pensare ai numerosi arresti di latitanti come, ad esempio, il figlio di Raffaele Cutolo, Roberto. Il capo della Nuova Camorra Organizzata è indicato come uno dei mandanti del duplice omicidio, vista la sua attiva partecipazione all’operazione (fatta di intrighi e accordi politici) che portò alla liberazione dell’ex assessore Cirillo, proprio rapito dalle BR.

Vittima di un agguato, ma per un tragico errore, anche il povero Nunziante Scibelli: ucciso a Lauro nell’ottobre del 1991. L’operaio 26enne era alla guida della sua Alfetta con la moglie Francesca, incinta al settimo mese, qunado finisce sotto i colpi del commando criminale. Gli obiettivi erano due affiliati del clan Gava (all’epoca in guerra con i Graziano) che procedevano dietro la vettura di Nunziante, con una macchina dello steso colore. Nunziante morì all’ospedale Cardarelli di Napoli per le ferite riportate, la moglie restò miracolosamente illesa.

Ucciso, invece, per essere ligio al dovere, il 33enne sovrintendente nel carcere di Poggioreale Pasquale Campanello. Campanello, ucciso a Mercogliano nel 1993, aveva solo 33 anni e quella voglia di non fare favori ad alcuni detenuti (burattini nelle mani dei clan dell’epoca) gli costò cara. Quindici colpi che lo raggiunsero mentre tornava a casa con la sua Alfa 155. Pasquale lasciò una moglie e due figli piccolissimi.

Parente (lontano) di boss, invece, Salvatore Manzi, finito sotto i colpi dei killer per una vendetta trasversale nella faida tra Salvatore Cava (parente di Manzi, da lato materno) e i Graziano. Il Sottufficiale della Marina, 30 anni, venne ucciso brutalmente in un campetto di calcio a Cicciano. Quella giovane vita spezzata il 26 maggio 1996 lasciò da soli la moglie e un piccolo di appena 5 anni. I killer entrarono in azione nell’impianto sportivo, inscenarono una rapina e fecero stendere tutti a terra: si avvicinarono a Salvatore, gli alzarono il mento per avere conferma che fosse lui e gli spararono tre colpi al volto.

Come Scibelli, anche Vittorio Rega venne ucciso perché la sua Honda Civic blu era uguale a quella del reale obiettivo dei killer. Vittorio aveva solo 29 anni quando venne coinvolto in un agguato a Maddaloni. Il giovane geometra di Baiano, però, riuscì, prima di morire, a raccontare agli inquirenti la dinamica dei fatti. Era il 30 luglio 1997 quando al suo posto doveva esserci Giovanbattista Tartaglione, condannato a morte dal boss Salvatore Belforte e da Felice Napolitano.

Parente di un Cava era anche Francesco Antonio Santaniello, ucciso nel 2002, nella sua azienda, quando la guerra di Quindici riprese vigore, dopo il fiume di danaro che si apprestava a scorrere nella Valle di Lauro per i fatti di Sarno del ‘98. Santaniello (per la cui uccisione è stata seguita anche la pista del racket) venne freddato con quattro colpi d’arma da fuoco calibro 22. Il corpo venne ritrovato dal figlio Arturo.

Anche se le scelte di vita sono diverse a volte certi nomi pesano (purtroppo). Questo è quello che hanno vissuto sulla propria pelle, come gli altri già citati, Francesco e Antonio Graziano, nipote e zio di 32 e 58 anni. Persone oneste, lavoratori instancabili, che vennero freddati nel 2004 a San Paolo Belsito (Na), solo perché considerati bersagli facili da raggiungere. Quel cognome, uguale a quello della famiglia camorristica di Quindici, per i killer e per chi li comandò, fu un motivo sufficiente a decretarne la morte.


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